Laboratorio Culturale
PREMESSA
15 anni fa nasceva a Bergamo l’esperienza dell’ambulatorio OIKOS. L’obiettivo statutario è di “PROMUOVERE UNA CULTURA CHE RICONOSCA NELLA SALUTE UN DIRITTO PRIMARIO DI CHIUNQUE”.
L’obiettivo ultimo, però, è arrivare a “chiudere” l’ambulatorio perché sarebbe segno che nessuno è più escluso dall’assistenza sanitaria. Ma in questi anni, soprattutto in un contesto come quello lombardo, sembra che non si facciano, che non si riescano a fare, passi in quella direzione. Le ragioni sono senza dubbio molte e attengono ad aspetti diversi (tra cui, non ultimo, le caratteristiche stesse delle organizzazioni di volontariato).
In questi anni la legislazione nazionale ha compiuto importanti progressi per garantire il massimo dell’inclusione, tuttavia è difficile credere che si arriverà realmente (almeno in tempi brevi) ad una situazione in cui la salute sarà riconosciuta come un diritto primario di ogni persona, in cui anche le persone immigrate non iscritte al SSN potranno essere adeguatamente tutelate e in cui, quindi, gli ambulatori come OIKOS termineranno il loro
percorso.
Ripensando all’esperienza di questi anni, una delle evidenze con cui ci siamo misurati spessissimo, è che “la salute non è solo assenza di malattia”. La “salute” di cui si parla nello statuto fa riferimento in modo quasi esclusivo alla salute fisica e alla sua cura, ma nella realtà quotidianamente incontriamo uomini e donne concreti (non solo CORPI decontestualizzati) che esprimono anche attraverso il malessere fisico un disagio più
complessivo, legato spesso alla condizione di immigrato/a clandestino/a in una società poco accogliente.
Alcuni provvedimenti legislativi recentemente approvati a livello nazionale hanno ulteriormente complicato le cose per le persone immigrate e per chi con loro lavora. Ripensando a questi avvenimenti, ci chiediamo da dove “arrivino”. L’impressione è che, in qualche modo, siano figli di una certa cultura che sembra aver fatto dell’”esclusione” un valore, e che sembrano produrre, indurre o, quanto meno, abituare a una certa mentalità,
che stiano provocando comportamenti individuali e istituzionali difficili da condividere.
In questi anni, come OIKOS, abbiamo scelto di muoverci su tre binari: – organizzando, un servizio rivolto agli “esclusi” (l’ambulatorio); – ricercando, mantenendo rapporti con le strutture sanitarie del territorio, principali erogatrici dell’assistenza; – e, soprattutto a livello nazionale (attraverso alcuni organismi di coordinamento come la Società Italiana Medicina delle Migrazioni), collaborando, coinvolgendo (dove e come possibile) e cercando di
ispirare il legislatore perché, di fronte all’evidente esistenza di un bisogno, si progettassero e approvassero politiche sanitarie più “inclusive”.
Osservando le vicende sociali, politiche e legislative anche degli ultimi mesi è apparso però evidente che, se l’obiettivo vuole essere ancora quello di lavorare per “promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto per tutti”, non è (più) sufficiente rivolgere la propria attenzione e azione a chi è escluso. Forse non basta lavorare sull’ambito medico o su quello dei migranti o su quello “politico” dei rapporti con le istituzioni. Sembra sempre più necessario, quasi urgente, muoversi esplicitamente sul versante di chi esclude, non tanto gli organismi di rappresentanza quanto coloro che li eleggono. Se le associazioni sono STRUTTURE SOCIALI INTERMEDIE tra gli individui e le istituzioni, finora come OIKOS abbiamo cercato di lavorare/incidere/interagire più con le istituzioni (almeno locali) che non con “la gente”. E, in questo senso, il non aver interloquito,
coinvolto, convinto “la gente”, gli individui che esprimono la classe politica (coloro che decidono) mostra, in qualche modo, il limite della nostra azione. L’attività di OIKOS può anche essere vista come un modo per continuare a “inseguire un’emergenza”, come una fatica di Sisifo, se non si riuscirà a incidere sul contesto sociale e culturale all’interno del quale nascono le scelte politiche, se non si riuscirà (impegnandosi soprattutto in una
dimensione strettamente locale) a “investire in cultura”, se non si riuscirà a produrre un pensiero diverso e a costruire un consenso sempre maggiore intorno ai temi della convivenza e del legame sociale.
Certo, le difficoltà e le implicazioni che la scelta di muoversi in questo modo può comportare sono molte. Tuttavia, senza interrompere quanto stiamo facendo, né rinnegare quanto fatto finora, ma considerando la storia dell’esperienza OIKOS come la radice da cui questo progetto nasce, come OIKOS riteniamo che questo debba essere un nuovo essenziale terreno su cui investire in futuro.
COME OCCUPARSENE?
Attraverso un LABORATORIO CULTURALE.
Il concetto di LABORATORIO fa riferimento all’intenzione, alla possibilità di costruire iniziative e di vivere esperienze su cui riflettere e far riflettere. Non si vuole assolutamente dare l’impressione di “aver qualcosa da insegnare”.
In realtà l’idea è di ricercare, di sperimentare, di costruire qualcosa di nuovo per chiunque parteciperà a questo progetto. Se davvero vogliamo incontrare persone che finora non hanno mai ritenuto utile o interessante occuparsi di questi temi, bisognerà riuscire a farlo con il massimo della disponibilità possibile, con l’intento di costruire confronti senza pregiudizi o preclusioni.
Con il termine CULTURALE, invece, si vuole fare riferimento a tre concetti:
- la cultura COME OGGETTO su cui lavorare. Essa non è una realtà definitiva, immutabile (è un CANTIERE APERTO) e proprio per questa ragione sarà interessante trovare o creare spazi, tempi e strumenti anche nuovi per riflettere sulle caratteristiche della cultura attuale.
- la cultura come SCENARIO. Si lavora “NELLA CULTURA” (cioè partendo e tenendo in considerazione il contesto storico, sociale e culturale attuale, in cui ci si muove)
- la cultura COME PRODOTTO, COME RISULTATO. Si lavora anche “PER PRODURRE CULTURA”, cioè per sperimentare cose nuove e per produrre cambiamenti in quella che attualmente appare dominante e che è caratterizzata spesso da individualismo, separazione, esclusione.
Pensiamo che la costruzione della cultura non avvenga per trasmissione diretta, ma richieda sempre e comunque un’adesione personale, individuale. Infatti, ognuno è portatore di convinzioni, conoscenze, abitudini, desideri, intenzioni, … propri, che lo rendono assolutamente unico. Le culture e le storie individuali non devono essere negate, tuttavia riteniamo che, sia importante considerare che esse, pur essendo le nostre RADICI, a volte diventano anche delle ANCORE, dei freni, e che un atteggiamento critico nei confronti delle propria cultura può e deve essere sviluppato.
CHE COS’ È UN LABORATORIO CULTURALE?
Un luogo/spazio dove conoscere e far conoscere, riflettere e far riflettere, ascoltare
e far ascoltare, guardare e far guardare, … Un luogo/spazio di COMUNICAZIONE con la città. Non dovrebbe essere un luogo, né si dovrebbero organizzare iniziative rivolte solo ad un’élite, a una ristretta minoranza che già condivide con OIKOS principi, ideali e obiettivi. Andranno pensate, progettate e realizzate iniziative e attività rivolte alla cosiddetta “gente qualunque”.
Un luogo/spazio dove rielaborare quanto succede (a partire magari proprio dall’esperienza di questi anni di OIKOS), dove PRODURRE PENSIERO che possa diventare fattore di trasformazione sociale incidendo sulla cultura e sul costume sociale.
CON QUALE OBIETTIVO?
In effetti, l’obiettivo del laboratorio culturale potrebbe essere lo stesso dell’associazione OIKOS, (“promuovere una cultura che riconosca nella salute un diritto primario di chiunque”) con l’unica differenza che in questo caso il termine “salute” potrebbe avere un significato più ampio.
Sarebbe utile e interessante lavorare sul concetto dello STARE BENE. Quale connessione tra lo “stare bene” e la “salute”? Cosa vuol dire “stare bene”? Cosa serve per sentirsi bene? Per tutti servono le stesse cose? …
COME SI VUOLE OPERARE?
- stabilendo collaborazioni sulle singole iniziative con altri soggetti della società civile, interessati a portare avanti con noi questo lavoro.
- proponendo iniziative e attività “di DISTURBO” capaci cioè di sollecitare prima di tutto la curiosità e l’interesse dalle gente comune.
- utilizzando strumenti volti innanzitutto a far riflettere oltre che a fornire conoscenze, a mettere in discussione pregiudizi radicati
- proponendo iniziative e attività che puntino l’attenzione NON TANTO SULL’IMMIGRATO, ma su tematiche TRASVERSALI, che riguardino anche la persona migrante, ma che, prima di tutto, riguardano l’essere umano in quanto tale. Per lavorare sul tema della cultura è necessario in un certo senso superare la logica che, seppure con le buone intenzioni,
- continuando a sottolineare il “noi” (sottintendendo, “italiani”) e il “loro” (sottintendendo gli “stranieri”, indipendentemente dal tempo di loro permanenza in Italia e da qualsiasi altra considerazione), di fatto continua a sottolineare una DIFFERENZA, una DISTANZA, una SEPARAZIONE che invece riteniamo importante superare. Non si vuole negare che ci siano diversi approcci alla vita, diverse convinzioni, mentalità, abitudini, …, ma forse non è corretto pensare che tali differenze siano dovute esclusivamente alle provenienze nazionali.
CON QUALI STRUMENTI?
Partendo dalla considerazione che gli strumenti non sono “neutri”, sarà importante scegliere con cura e oculatezza gli strumenti comunicativi utilizzati in qualunque fase del lavoro. Per quanto non sia pensabile decidere ora quali strumenti privilegiare, riteniamo però che sarà opportuno fare ricorso a una pluralità di linguaggi comunicativi per riuscire a “incontrare” il maggior numero di persone possibile.
COME LAVORARE? QUALE “STILE”?
Probabilmente è difficile stabilire a priori e completamente con quale “stile” operare; quello che invece è possibile è indicare quali sono le “attenzioni” che vorremmo coltivare sia a livello delle relazioni che delle azioni da mettere in atto. Il resto dipenderà, in una buona misura, dalle persone che decideranno di partecipare attivamente al laboratorio culturale e che diventeranno, per questo, i principali attori e artefici del progetto.
Rispetto a questo argomento abbiamo deciso che l’adesione sarà proposta solo alle singole persone e non a gruppi e/o associazioni. Le realtà già strutturate saranno coinvolte volta per volta nelle iniziative organizzate, ma il lavoro che si sta prospettando prevede un coinvolgimento personale che non potrebbe essere delegato ad altri.
Rispetto alle scelte di metodo su cui abbiamo iniziato a confrontarci e che richiederanno comunque ulteriori approfondimenti e discussioni, di seguito vengono indicati alcuni degli spunti emersi.
Viviamo in un contesto in cui, mentre si sente parlare spesso di identità (individuale o collettiva), sembra emergere con sempre maggiore evidenza quanto il definirla sia complesso. Laddove si cerca di farlo, poi, si ha l’impressione che, a volte, si mettano in atto azioni “di difesa”, quasi che per definire se stessi si percepisca come indispensabile negare, sminuire “l’altro”. In questo contesto in cui pochi aspetti dell’identità collettiva, intesa rigidamente, tendono ad essere assunti come criterio per legittimare una discriminazione, si cercherà di lavorare proponendo iniziative in cui abbiano sempre spazio punti di vista, conoscenze e orizzonti diversi)
In una società in cui la maggior parte della comunicazione avviene attraverso il linguaggio orale o attraverso i mezzi di comunicazione di massa (prevalentemente attraverso lo strumento televisivo e la stampa) si cercherà, da un lato, di prestare attenzione, di lavorare anche sul (proprio) linguaggio per “sorvegliarlo”, per individuare e cercare di modificare gli elementi più o meno espliciti di razzismo e discriminazione utilizzati anche inconsapevolmente nei vari contesti di vita (lavorativo, familiare, genericamente relazionale, ….); dall’altro si cercherà di privilegiare anche altre forme comunicative (visive, artistiche, ….).
In una cultura in cui sembra spesso dominante un modello fondato sull’individualismo, sulla paura dell’altro, sul consumo come principale strada per la soddisfazione, la scelta è quella di muoversi all’interno e con la forma di una realtà di volontariato che si fonda su una logica opposta, di sobrietà, di fiducia nell’altro, di coscienza dei propri limiti, di centralità del bene comune, del bene di tutti.
In una società in cui scelte e comportamenti individuali, collettivi, mediatici, istituzionali, legislativi sembrano spesso caratterizzati da aggressività e istintività si cercherà di trovare modi di gestire il conflitto (che inevitabilmente emerge dal confronto con la diversità) che sappiano essere pacati e rispettosi anche delle idee, opinioni, posizioni che non si condividono.
In una società in cui sembra diffusa la tendenza ad affrontare e presentare questioni complicate mettendo in atto una semplificazione eccessiva che non facilita la comprensione, ma che può provocare reazioni essenzialmente viscerali e/o emotive (si pensi al tema della sicurezza), si cercherà di affrontare le “questioni importanti” con l’intenzione di approfondire la riflessione e di promuovere la conoscenza e il confronto.
In un momento storico di crisi della politica, in cui la politica gestita dai partiti, è vista con diffidenza, sospetto o al più con indifferenza, noi continuiamo a credere che occuparsi di cultura sia già di per sé un’azione politica il cui compito dovrebbe “essere quello di garantire il pluralismo delle forme di vita e la coesistenza pacifica delle storie personali e delle culture. Il principio della sussidiarietà in fondo rafforza questa tesi, affermando che la stessa libertà di iniziativa dei cittadini è chiamata a prendersi cura dell’interesse generale e dunque ad assumere un rilievo politico. La cura del bene comune deve diventare una responsabilità diffusa nel corpo sociale” (Filippo Pizzolato).
Gennaio 2010